Una appassionata serie di conferenze MCO tenute dallo
storico
Roberto Coaloa
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San Pietroburgo mozartiana, provincia italiana
Di Roberto Coaloa
Sabato 27 giugno, nel cortile d’ingresso del Castello, ascolteremo due grandi pezzi del repertorio della
musica classica mai eseguiti a Casale: il giovane direttore magiaro Károlyi dirigerà, nella prima parte, il
Divertimento in Re Maggiore K 136 di Mozart e, dopo l’intervallo, la grandiosa composizione di Čajkovskij,
Serenata in do maggiore per archi, divisa in quattro tempi: I Pezzo in forma di sonatina (Andante non troppo
- Allegro moderato). II Valzer (Moderato - Tempo di Valse). III Elégie (Larghetto elegiaco). IV Finale:
Tema russo (Andante - Allegro con spirito). Saranno eseguite anche tre arie per soprano di Händel:
dall’opera Ariodante, “Scherza infida” e “Preparati a morire”, dal Giulio Cesare, “Piangerò”. Per l’occasione
faremo conoscenza con la cantante lirica Sophie Gallagher, per la prima volta a Casale.
Nel Divertimento K 136, stile e forma inclinano ancora al gusto italiano in voga nel Settecento, mentre in
alcune parti contrappuntistiche e tematiche affiora l’influsso tedesco di Haydn. Mozart terminò la
composizione a Milano, dopo una semplice abbozzatura scritta nel viaggio in calesse.
L’indicazione all’inizio del manoscritto è inesatta, poiché manca il minuetto che farebbe del pezzo un vero e
proprio Divertimento. Si tratta, piuttosto, di una Sinfonia italiana, con i suoi tre movimenti.
Nel primo movimento, il primo violino occupa la scena, dialogando con il secondo. L’Andante è seguito da
un finale in forma sonata il cui tema principale è una variante di quello del primo movimento e nello
sviluppo del quale il giovane compositore mostra la padronanza nel contrappunto.
Influssi italiani anche nel Čajkovskij della Serenata in do maggiore per archi, che fu composta dopo un
viaggio in Italia. Il compositore russo ci lasciò una fuggevole impressione dell’antica capitale sabauda nel
dicembre 1879. Čajkovskij era diretto a Roma, dove soggiornerà sino al marzo 1880. Eterno vagabondo, che
per l’Italia aveva più volte diretto i suoi passi, da Venezia a Firenze, da San Remo e Roma e a Napoli, il
grande flâneur russo s’ispirava alle nostre bellezze naturali e artistiche nella gestazione delle sue celebri
opere. La sua non fu che una breve sosta a Torino, ma ne resta memoria in una spiritosa lettera al fratello
Anatolij.
Nel 1880 Čajkovskij fece ritorno in Russia, dopo aver soggiornato per un certo periodo a Parigi. In quello
stesso anno un grave lutto familiare, la morte del padre, lo condusse ad uno stato di profonda prostrazione
fisica e mentale (per giunta aggravato dall’alcolismo), dal quale ebbe la forza di uscire solo attraverso
l’attività creativa. In un periodo per lui così pesante, il compositore russo portò a termine quattro importanti
lavori: il Secondo concerto per pianoforte e orchestra, il Capriccio italiano, l’Ouverture 1812 e, appunto, la
Serenata per orchestra d’archi in do maggiore, eseguita dalla Monferrato Classic Orchestra.
Di quest’ultima opera Čajkovskij fu particolarmente soddisfatto fin dal primo istante. Si tratta in effetti di
una composizione dove dominano una grazia ed un senso di serenità raramente riscontrabili in altre sue
opere. In una lettera alla sua amica e leggendaria benefattrice Nadežda Filaretovna von Meck (resa
immortale, come vedremo da un film di successo), Čajkovskij annotò: «Ho composto questa serenata
animato dallo slancio di una intima convinzione... si tratta di un brano che nasce dal profondo del cuore e mi
piace pensare che per tale ragione non sia privo di reali qualità». Che si tratti di un lavoro magistrale, lo
dimostra il fatto che essa rimane oggi tra le più eseguite ed apprezzate dal pubblico, accanto a quelle di
Antonín Dvořák e Josef Suk.
La serenata fu eseguita per la prima volta in forma privata il 21 novembre (3 dicembre, per il calendario
gregoriano) 1880 al conservatorio di Mosca da un ensemble di professori e studenti per fare una sorpresa a
Čajkovskij, che tornava dopo una lunga assenza dovuta all’abitudine del compositore di lavorare in
campagna (a maggio, ad esempio, terminava la composizione del Capriccio italiano).
La serenata fu eseguita in pubblico a Pietroburgo il 18 (30) ottobre 1881, ad un concerto della Società
Musicale Russa, sotto la direzione di Eduard Francevič Napravnik. L’opera divenne una delle composizioni
che Čajkovskij amava inserire nei programmi delle proprie tournée in Europa, a conferma del fatto che il
compositore russo la considerava tra le sue opere più riuscite e musicalmente valide. Giacomo Manzoni
sottolinea come in quest’opera si manifesti - più che in qualsiasi altra del musicista russo - l’ammirazione
assoluta di Čajkovskij per il genio di Mozart, riscontrabile nell’eleganza di talune linee melodiche e nello
strumentale «terso e lineare».
Da questo punto, riprendiamo il ragionamento fatto sull’influenza della scuola italiana sul mondo russo
dell’Ottocento. Riflessione che ci accompagna in queste conferenze da quando abbiamo presentato la figura
del musicista casalese Carlo Evasio Soliva.
Ausilio prezioso al nostro racconto è stato il volume di Igor’ Stravinskij: Ricordi e commenti.
Igor’ non ha dubbi sull’importanza dei musicisti italiani nel mondo russo: «Verdi era sempre argomento di
discussione a Pietroburgo. Čajkovskij lo ammirava».
Cosa unisce Verdi alla musica di Čajkovskij?
L’idea principale è il fato, nefasta potenza che si oppone alla
conquista della nostra felicità. Nel russo il fato è l’incalzante, ostinata fanfara di ottoni e fagotti in fortissimo
che apre, ad esempio, la Quarta sinfonia. In questo memorabile inizio mi sembra evidente l’influenza di
Verdi (e più lontana quella di Beethoven, nel leggendario attacco della Quinta sinfonia).
La Quarta sinfonia in fa minore fu composta nel 1877 ed è dedicata, anima e corpo, a una ricca vedova,
l’amica sopra citata, la baronessa Nadežda Filaretovna von Meck che fu viscerale estimatrice e mecenate di
Čajkovskij. Con lui visse un rapporto particolare, una liaison dal fittissimo epistolario che avrebbe mandato
in visibilio Oscar Wilde, visto che per tutta la vita tra il musicista e la baronessa non si incontrarono mai
preferendo frequentare i luoghi segnati e “profumati” dalla presenza dell’altro.
Lo racconta immaginosamente Ken Russell nel film-biografia su Čajkovskij L’altra faccia dell’amore (film
da ricordare per i grandi attori, Richard Chamberlain e Glenda Jackson, e la grande musica: la colonna
sonora è eseguita dalla London Symphony Orchestra diretta da André Previn).
«L’introduzione - scrive il musicista alla baronessa - contiene il germe di tutta una vita, il fato è la forza del
destino che ostacola la nostra felicità; è come una spada di Damocle e avvelena senza posa l’anima...
Bisogna assoggettarglisi... Non sarebbe meglio abbandonare la realtà e sprofondarsi nei sogni? Il fato ci
risveglia... Tutta la vita è un’ininterrotta alternativa di dura realtà. Non esiste un porto... Dobbiamo navigare
su questo mare finché esso non ci inghiotte e non ci sommerge nelle sue profondità».
Il fato è l’incalzante ostinata fanfara di ottoni e fagotti in “fortissimo” che apre, in Andante sostenuto, il
lavoro: gesto sonoro “teatrale” che tornerà per tutta la sinfonia, schiacciata, appunto, sotto il peso del fato.
Oltre a registrare tutte le variazioni più sensibili della sua psicologia, Čajkovskij nutrì sempre una
predilezione per la sua attività compositiva e i viaggi, intensificatisi nella maturità anche per le occasioni,
sempre più frequenti, di salire sul podio ed esibirsi come direttore d’orchestra. In Italia Čajkovskij trascorse
lunghi soggiorni, e felici, specialmente a Firenze e a Roma.
Il sensibile compositore trasforma ogni cosa che vede in sinfonia: Raffaello gli si mostra come «il Mozart
della pittura» e, quando si trova a contemplare il Mosè di Michelangelo, il pensiero gli corre spontaneo verso
le trombe dell’Eroica dell’amato Beethoven. È questo il periodo in cui Čajkovskij, pur nella seria
preoccupazione che gli dà la prossima esecuzione della Quarta sinfonia a Parigi, quasi per distrarre la mente
da tali pensieri, comincia a stendere l’abbozzo di una partitura su motivi popolari italiani.
«Per merito di
questi temi affascinanti, tra i quali alcuni raccolti per le strade», confida agli amici, «sono certo che sarà
un’opera di grande effetto».
A Roma, infatti, proprio nel 1880, Čajkovskij scrisse il Capriccio italiano, conosciuto la prima volta a
Mosca nel dicembre dello stesso anno: in questa pagina, liberamente modellata su due noti lavori di Michail
Ivanovič Glinka (compositore assai vicino al nostro Soliva), Piaceri aragonesi (o Jota aragonesa) e Une nuit
d’été à Paris, si avvertono i caldi accenti di un’espressività mediterranea, rivissuta sul filo della memoria, e
che si risolve, nella sezione finale, in una brillante tarantella. A Mosca, l’entusiasmo fu tale alla prima che il
direttore d’orchestra, Nikolaj Grigor'evič Rubinštejn, offrì il bis dell’intera composizione (op. 45, dedicata da
Čajkovskij a K. Y. Davidov).
Fino a Glinka, Musorgskij e Čajkovskij in Russia avevano dettato legge i musicisti della Penisola. Per il
nostro territorio il caso più famoso è quello di Carlo Evasio Soliva. Un altro grande musicista fu Caterino
Cavos, che quando arrivò in Russia da Venezia nel 1798 aveva vent’anni.
Soliva diventò Kapellmeister della compagnia dell’Opera imperiale di San Pietroburgo dopo Cavos.
È nella musica di Čajkovskij, però, che troviamo le conseguenze più fruttuose ma anche più affascinanti
dell’influenza dei compositori italiani.
Da dove viene, ad esempio, quello splendido stile melodico che ritroviamo nelle sue musiche più riuscite?
Da che cosa deriva il tema, tenero e forte nello stesso tempo, del suo Giulietta e Romeo? O quella splendida
melodia che rappresenta Francesca e il suo dolore al centro di Francesca da Rimini? O ancora il tema
intonato dal corno nel movimento lento della Quinta sinfonia?
Chi scrive, deve confessare di non essere certo al cento per cento, eppure è convinto che se Čajkovskij non
avesse conosciuto per diretta esperienza la melodia a volte appassionata e intensa, a volte piena di pathos,
dell’opera italiana, non avrebbe composto la musica che conosciamo.
Eleganza delle linee melodiche e melodia appassionata e intensa, che Soliva, ad esempio, aveva attinto a
piene mani dalle opere di Mozart, in particolare dal Don Giovanni.
Le esecuzioni di Čajkovskij sono state rare a Casale. Una prima, con Mascagni, nel maggio 1937, al
Politeama, con la Sesta sinfonia. Una seconda, con la Monferrato Classic Orchestra, lo scorso febbraio, al
Municipale: la maestosa Quarta sinfonia diretta da Vitaly Alekseenok.
Del direttore d’orchestra Sándor Károlyi, il pubblico che segue la Monferrato Classic Orchestra ha già
apprezzato la sua brillante interpretazione della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven, eseguita con la
compagine monferrina, il Coro di Casale e il Coro Panatero di Alessandria, al Teatro Municipale di Casale
Monferrato e a Piacenza alla Galleria Alberoni l’11 e il 12 gennaio 2020.
Domenica 28 giugno ascolteremo il duo Dallagnese. Sabrina Lanzi, direttrice artistica della Monferrato
Classic Orchestra e pianista di fama internazionale, ha scelto di far suonare due pianiste ventenni in un
repertorio “alto”. Lanzi definisce Beatrice e Eleonora Dallagnese «raffinate interpreti, due talenti!». Il
programma prevede Liszt, Rapsodia ungherese n. 12; Chopin, Sonata op. 35 n. 2; Bach/Busoni, Ciaccona
dalla Partita n. 2 per violino BWV1004; Beethoven, Sonata op. 31 n. 3. Infine, per quattro mani, di Schubert,
Allegro “Lebensstürme” D 947.
Roberto Coaloa